mercoledì 28 novembre 2007

Stefano Raimondi



(Foto di Michela Alpi)


Poesie


DAL LIBRO DI INGEBORG


*

Un tatuaggio a guerra macchia
il trapuntare del sole anche negli asili
sparsi, nel sangue dei paesaggi.

Non si hanno più, qui, visioni vere
veri palinsesti arborescenti e sani
cancellati al di là del fumo
dallo scoppio, dalla muffa
che ondeggia negli occhi
dall’umido che cola
dalle pupille. La tua
parola usa il ticchettio
insistente delle mine.

Si appoggiano le vene sopra i tagli
i muri sulle crepe.





*



Il mondo è delle cantine
dei rifugi. Siamo noi
le falde fonde, ultime dell’acqua.

Ormai ti riconosco dal vento
dalla luce, dalla strettoia
della metropolitana, dagli spostamenti
dalla paura che fai quando ti fermi
quando arrivi, quando vieni
da quelli che hai lasciato, quando
torni dal posto che hai distrutto
rovinato.

L’onda lunga degli uccelli non è più
tra la finestra e il balcone: nei giardini.
Tutto il cielo ne è vuoto e ne parla.

Passerai altrove in una notte
insieme ai brutti sogni, tra un arcobaleno
e l’altro che non serve, rivolto tutto
ai ciechi che si cercano, si tastano
che si schiacciano i colori
in fondo agli occhi, per tremare.

*

Saltare, vedersi, tenersi ancorati
ai fossi, ai buchi, alle scappatoie, fare
delle tane un riparo, dei grattaceli caduti
delle capanne, dove respirare tutti dove
intonare un canto solo che basti al fiato
spoglio degli abbracci: agli occhi
curvi delle speranze da chiarire.






[Da una città d’acqua: tragedia di Lampedusa, autunno 2003]

*
“Finita, è finita, sta per finire, sta forse per finire. I chicchi si aggiungono ai chicchi a uno a uno, e un giorno, all’improvviso, c’è il mucchio, un piccolo mucchio, l’impossibile mucchio. Non possono più punirmi.”

[Samuel Beckett – Finale di partita]


“L’orizzonte era sempre uguale
e avevamo paura”:
la deriva dei cuori sbranati
clandestini. Si fanno dei sogni
che dicono già tutto, cose
che sembrano sogni e invece...

Le città restano lontane: immense.

“Ho buttato in mare i miei figli
freddi da due giorni ormai.
Sbarcare così non serve, ora
che non porto niente, rubato
come sono, tolto, spento
a poco a poco come i miei figli
gonfi, bianchi, cresciuti dai fondali:
boe disperate, inutili e leggere”.



(per una brevissima poetica istantanea)

La poesia è la più matura forma d’immaturità. In sua compagnia si sta ancora nello stupore della nascita delle parole, nella fantasia illogica della sintassi, nell’esaltazione coraggiosa dei primi tentativi fonetici – quelli del farsi capire- nel luogo magico e desolato della lingua imparata per la prima volta.
Mediante la POESIA si osa, si va per tentativi ritmici che diventano, progressivamente, i segnavia per altre parole. Più si osa, più il linguaggio viene esposto a nuove sollecitazioni linguistiche, trasformandosi in un laboratorio, più che di parole, di idee, già carico di una visibilità audace e generosa. È con la poesia che si crede all’incredibile e all’impossibile che ci circonda, che ci fa chiari anche vicino al buio, vicino ai disastri.
Inoltre è da chiarire che la parola poetica è una parola politica, nata dalla necessità dell’evidenza che si dipana per respiro e necessità e mai politicamente. Dove c’è il potere, qualunque esso sia, la poesia scompare, mettendo in allerta l’autentico.


Nota bio-bibliografica

Stefano Raimondi (Milano, 1964), laureato in Filosofia. Sue poesie sono apparse nell’Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2006). Ha pubblicato Invernale (Lietocolle, 1999); Una lettura d’anni , in Poesia Contemporanea. Settimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, 2001); La città dell’orto, (Casagrande, 2002); Il mare dietro l’autostrada (Lietocolle, 2005); È inoltre autore di: La ‘Frontiera’ di Vittorio Sereni. Una vicenda poetica (1935-1941), (Unicopli, 2000), Il male del reticolato. Lo sguardo estremo nella poesia di Vittorio Sereni e René Char, (CUEM, 2007) e curatore del volume Poesia @ Luoghi Esposizioni Connessioni, (CUEM, 2002). È tra i fondatori della rivista di filosofia “Materiali di estetica”.