mercoledì 28 novembre 2007

Antonio Diavoli








Poesie
Schemi dell’ombra - 22 agosto 2007

Lasciami il dono invisibile d’aria dentro il tuo occhio
l’altra profondità di te nascosta, l’altro lato
che ti disegna contro la luce dal tuo estremo mortale.
Bisogna apprendere piano le cose, guardandole fisse
da una peluria chiara che le fa tremare a vista.

Gli occhi su cui ti chini a somiglianza il giorno
terminano un’aria scura, affaticati in ogni indizio di luce
la mano appena serve a trattenerli, prima che congiungano
la tenebra, protetti, dove non possono riflettersi di più
né insegnare alla memoria i tuoi tratti.

L’ombra ha i suoi interstizi, l’opera le mani,
i cenni, i travestimenti bianchi
e neri, noi e i corpi, tutto fa la differenza, che ci stacca intatti.
Nessuno sa l’identica cosa di se stesso e si divora,
divorato a viva luce, cercando tutte le fessure.

In lungo e in largo sulla schiena ripiegato il corpo
senza trattenersi oltre senza dire nulla, ti uscirà di bocca il fiato
senza pretendere che tu capisca - vivere di più di quello è un’inutilità
difficile da portare avanti. I morti trovano la porta spalancata,
toccano l’odore degli alberi con le dita mentre li trasporti
gli occhi ci guardano però tutti una volta.

Fa differenza chi sa vedere luce dall’ombra
- alcuni vicino ai corpi misurano distanze,
tra due rimasti tali anche dopo, poco più distinti
nell’immagine che guardi, scossi dall’oscurità un istante
per trasfigurarsi, mentre sono sempre più vicini.

Ci sono già due, fermi, che si fanno forza, l’uno e l’altro
riprendono l’immagine che si fa tremare
toccando la radice delle dita, guardandosi nei tratti
minimi per non dimenticarsi: la misura, l’angolo, la piega
scuri lì tra occhi e naso, la sottigliezza delle tempie
giunte basse sui capelli, lo schema vorticoso delle orecchie.
La mappa delle cellule si trascrive in punto.

Le cose sembrano a perdita d’occhio profonde
quando nemmeno le conti mentre le guardi, hanno
troppe parti in sé divise consistono di nomi fatti su misura
per non lasciare tra due spazi un silenzio, l’ombra che si allarghi
a tutto sino a scomparire. L’opera più prossima alla bocca
è morire, non portarsi dietro il nome. Servono a nasconderla i tuoi occhi?

La mano estranea a se stessa tocca la linea, quasi
che si separi allo specchio, scivola sulla propria immagine
inavvertitamente divisa sino a coprire tutta la superficie,
senza sapersi, dopo scoprendo meglio le linee sul palmo.
Quello che l’una fa sopra le dita dell’altra - racimolare macerie
da tempo incommensurabile. Gli occhi contano se stessi
per arrivare chissà a che cosa - dove restano gli ultimi incanti vuoti.

Adopera i segni scritti unendo punti a margine del foglio
nella grazia del tuo mutismo decorato, che incide le cose
quando neppure ti volti a guardarle. Come la pietra caduta
aggiunge i cerchi all’acqua, tu fai tremare l’arco del mondo,
colpisci il punto vivo che s’apre spaccato, prima che sparisca.

Come si tolgono presto le ombre dal muro, muovendo la luce
che le fa tremare. Si separa la palpebra bene dietro le unghie,
dal bordo produce uno sbalzo, una pupilla come sapesse guardare
lo spazio tra i contorni, il regno della figura, tenesse l’idea dell’abisso.
L’acqua non sa il vivere che l’attraversa, come una riga priva di estremi
traccia se stessa continuamente, lascia ascoltare il suo silenzio.


Nota bio-bibliografica

Federico Federici (1974, vive a Finale Ligure) ha pubblicato con lo pseudonimo di ‘Antonio Diavoli’, Ardesia (ShortEdit, 1996), Versi Clandestini (Studio64, 2004), Quattro Quarti (Il Foglio, 2005), N documenti in cifra (Cantarena, 2006), Chiuderanno gli occhi -con Ilaria Seclì- (Cantarena, 2007); suoi testi sono usciti sulle riviste «Cantarena», «Private», «Kritya», «Lo Specchio» de La Stampa e su vari siti letterari. Ha curato una traduzione originale dei testi di Nika Turbina, uscita su e-book con il titolo КТО Я? Attualmente sta traducendo poeti contemporanei norvegesi e curando la prima edizione italiana della poesie di Rati Saxena e di Renáta Vargová. Di prossima pubblicazione L’opera racchiusa, con una nota di Giancarlo Rossi.
Su internet http://leserpent.wordpress.com/.


Poetica

Quando si è presa ormai la parola e siamo certi che sia tutta per noi, allora non si dovrebbe procedere a confutare un nonnulla emerso dalla conversazione, sciupare l’occasione con quel ritmo perfetto, quasi canzonatorio, che fa prendere piacere a chi ascolta, interessandolo.
Bisognerebbe tacere il più a lungo possibile, come si tiene un segreto, meglio ancora il respiro sott’acqua e tenerla nascosta, tutta per noi, non dargliela più vinta.
Se qualcuno inizia a muoversi, mettergli un dito davanti alle labbra, come si fa coi bambini, guardandolo fisso e seri negli occhi, come se con quel movimento si fosse scoperto e messo in un rischio grandissimo in chissà che affare e di essere scoperto. Fargli sentire a quel modo che tutto quello che stiamo facendo è solo nel suo bene e interesse. Solo così si spiegherebbe l’invisibile, senza troppe decorazioni, mettendo le parole al riparo, in un luogo sicuro dai chiarimenti. [da Diario dei prossimi giorni, 22 Luglio 2007]


‘Afinidades’

Alessandro Ceni
Alessandro Ghignoli
Ilaria Seclì
Sergio La Chiusa