giovedì 23 agosto 2012

Maurizio Romano





Poesie





Ad Amy

Grido rami mi ferisco la bocca
grido lucertole che si attorcigliano tra loro in gola,
ho paura del nulla sfibro la luce
ho un nascondiglio sotto le unghie del buio dove sfuggo al nulla
e ti cerco per essere tutto finanche nelle cantine dell’illusione
arrivi, oibo, e saluti con la mano e sorridi varcando l’invisibile...
vade retro anima accovacciata sul dorso della realtà
lo sai che siamo esistenze intangibili tra loro
balugini non sei ostile sembri dire qualcosa ma ancora non sei
non hai angolo e spazio, curvatura e proiezione
Formati di molecole pure
affidati alla proiezione esatta delle stelle,
anima graffiata da cima a fondo
piangi e cavalca le tue lacrime di bambina da dimensione a dimensione,
stacca il tagliando vincente dalla gobba del cielo
cuori e patacche fanno pericolanti il selciato lo so
così affidati alle barbe dei profeti lunghe da qui a li
usale come liane per saltare gli sbambetti dei nani sul tuo cammino
abbacina nel passaggio di stato
delicato bambù d’occidente assurgi a dignità assoluta
avvolgi d’elio alcol e droga, vizio e dipendenza
aperta è la bocca della stratosfera per ingoiare.

Amare e voltarsi indietro per ognuna decisione
curare l’incertezza come una fragile amica dall’occhio di diamante
saper porgere l’altra guancia anche a chi t’accarezza
gridare altolà all’indifferenza che ha pelle di squalo
torna
anche se non puoi più cantando
hai tutte queste cose da insegnare
fallo per chi sta indossando lo scafandro con destinazione ultimo abisso
lo scafandro giallo e nero del tuo ultimo concerto
Ora che sai e più di chiunque altro
pulita vieni volando
purifica il pungiglione infetto del vento che incessante s’alza dagli scranni del Male
fallo adesso
angelo salvatore.


Sogni

Colano sogni di un gelatinoso mattino,
come pietosi infermieri iniettano l’illusione,
medicina che bagna i tessuti del giorno.
Tra ventagli d’aria calda su una sedia aspetto il giorno.
Nascosto nel mio eremo che da sulla strada principale lambisco Dio,
va sottopelle la voce dello spirito:
onda elettromagnetica ad infrangersi contro le statue dell'alba.
Dipingo pensieri, riavvolgo progetti, fuori scheggia lo zodiaco,
mi metto torre di retroguardia e occhio in ogni guglia,
gufo affamato volo
e attento vigilo come il rettile di segreta.


Caffetteria

La caffetteria del boulevard secerne angoscia dalle sue pieghe,
gli avventori studiano labirinti e abbandonano pensieri in vicoli ciechi.
Alcol e ali di corvo serviti al tavolo
per sorvolare tetti,
cupole luminescenti,
torri vertiginose,
inquiete architetture.
Tacchi di puttane infilzano marciapiedi e cuori solitari
cuori che si soffiano la vita nell'esodo caldo dalla notte al giorno,
l'afa disegna sagome viscose nelle coscienze.
Notte, ala impigliata alla ragnatela di un ossessione
il tuo segno particolare è l’abbandono a dei lascivi che migrando intrappolano i sensi.
Città il tuo segno particolare è un irritato angelo dai taglienti spigoli
che ci dorme addosso e liquefacendo occulta occhi con la pala e il favore della notte.
Intanto il dolore umano inconsolabile è materia povera
che alita preghiere d’elio e venti carichi di sabbia.
Così è, che prima della luce,
angeli, ometti ballerini, malinconici diavoletti
volano assieme a chimere e cenere di falò,
volano in cerchi lenti dai marciapiedi ai tetti.
Preparano le scale per l'evasione,
cantano il passaggio segreto dalla notte al giorno,
celebrano attenti una liturgia
che ritmica e illusoria si ripete.


Echi invano

Il nostro respiro lascia sullo specchio
le geometrie di un attimo,
narcisi di ieri spariscono in un’alfabeto scritto dal tempo... confusione di petali e lettere.
E tu schiumi sirena inquieta,
iter subterraneo,
scorciatoia che declina al nulla,
incurabile tango,
incompiuta galassia,
aritmia di scomposti cherubini.
Toglierei corde e parole di scoglio dai palazzi
per vederli ondeggiare come stanchi uccelli sulla crosta del mare;
ti riempirei gli armadi di infuocati colibrì per sorprenderti al risveglio.
Le statue di questa città si spiano, si contendono la scena
e vanno alle assemblee di condominio,
da te invece gridano “rivoluzione!” e  gridano “fino alla vittoria!”
bevono e corteggiano grasse donne assieme a marinai,
anche tu una notte hai ballato stretta a  Jose Martì
vestita solo del mercurio del mare.
Sei cospirazione,
sollevi aree ignote, sipari pluviali
e sai
che il vecchio pappagallo dalla finestra mezza rotta
ci dovrà gridare  con voce di torero
basta!
L'invisibile verrà come il crampo dell’onda,
come un bolero ballato sul silenzio,
oppure verrà col cappello a sonagli e scimmie parlanti
a giocare l'ultimo tiro!?
Sarò istante nella sospensione del crepuscolo,
uno spaurito cigno notturno in un lago gassoso
che con poco respiro si tende per toccare ancora
l'epidermide dei tuoi echi invano.


Sonno di Cuba

Combatti nell'arena in corride senza toro
con piedi di fagioli neri.
Nel tempo di una rosa urli vento e ti vai a sdraiare come saliva ai piedi delle tue case rotte.
Non aprire gli occhi, non ora,
resta nel tuo letto odoroso di porto notturno se t'accarezza l'uragano:
chiusa tra le tue ali screziate di vene pulsa  e accovacciata silenziosa aspetta.
Vestaglie vuote sdrucite dal volo radente del tempo aspettano invano l'ora di cena.
Coralli e pesci volanti  fuggono al mare
per sussurrare attraverso sbarre di prigioni la libertà delle onde
-una bara di conchiglia affonda ancora nella polpa di una pagina di Marx-
La rivoluzione incollerà ancora ideali all'acqua viola delle tue tempeste!?
Dormi,  resto ancora io vicino a te in questa assurda notte
senza latte...
Cuba


Biografia

Potrei iniziare la mia biografia dicendo: Maurizio Romani nasce a Genova nel 1961.
E continuare così: sulla scia del sogno di avere un corpo simile a quelli proposti dalla cinematografia e dalla fumettistica degli anni ottanta, adolescente o poco più entro nel
mondo dello sport, in particolare nel body building, ma anche del nuoto e della corsa. Ben presto inizio l'avventura di costruire una palestra e così anni
ed anni di vita di palestra, migliaia di volti ed allenamenti passavano. Sta di fatto che tutto ciò aveva invaso l'ambiente più intimistico della mia mente, quello
che mi aveva portato a conoscere, ai tempi della scuola, Baudelaire, Lorca , Neruda, Leopardi... Ed a scrivere, scrivere, spesso per amore. Era come aprire la ruota per il pavone, liberavo la fantasia e salpavo alla conquista di qualcuno e/o della vita. .Quello con la poesia era un conto aperto che dovevo saldare. C'era solo da definire quando. E stato un ritorno un po’ caotico, versi fuori controllo: come non saper più guidare un'astronave, quella dell'espressione poetica.
Ed ora, dopo alcuni anni, sono qui a dire in versi. Con lo sguardo fisso sulla sconcertante fragilità umana. Tornando a uno schema più formale, potrei finire dicendo che è in corso di pubblicazione la sua prima raccolta di poesie, editore De Ferrari, che si pregia
della traduzione in lingua spagnola, curata da Martha Canfield, di alcune poesie dal tema politicomalinconico circa l'isola di Cuba.


Affinità

Lello Voce

martedì 12 giugno 2012

William Stabile








Alcune poesie

William ha segnalato che si tratta di testi in fase di elaborazione, che vuole comunque iniziare a condividere con i lettori attraverso questo blog.


La forza degli schiavi: 


e lasciai che l’alfabeto s’incagliasse 
sul fondo mio di fango


in te ipso redi, in interiore homine habitat veritas
(Sant’Agostino, Le Confessioni) 

real character doesn’t happen overnight.  
nor are hidden depths immediately obvious.  
but given time they emerge.  
(Abbot Ale)



Dr. Livingstone, I suppose! 

well 
yes I am 
caro Stanley 

io avevo
una fissazione 
per l’uomo e 
mentre ti aspettavo 
ho letto la bibbia 4 volte 
e mentre leggevo 
e leggevo 
amavo osservare sulle rive 
l’umana sofferenza 
dentro le disgraziate 
capanne negre 

che orrore! Stanley 
che orrore! 
tutto era profonda 
tenebra 

finalmente 
ho capito 

non c’è niente di nuovo 
– per l’uomo - 
sul fronte occidentale 
le ragioni della polvere 
consumano sempre nelle cose 
è tutto sotto il cielo - e sopra
   nulla 
solo l’amore cambia 

la vita è sempre 
un dono 
e non va mai 
sfidata 
come ho fatto io 
Stanley 

oh mio Signore 
tu sei tan grande 
grazie 

ero un parto scagliato 
verso un mondo 
in un arco una freccia
a cercare una traccia 
prima che tu ci fossi 
eravamo già tu ed io 
insieme - Signore 
e tu senza saperlo 
eri già tutto in me 
presente in me 
dentro di me 
ed io attratto 
mi allontanavo da te 
e costruivo per me 
un’architettura di dolori 
e tu costruivi per me 
opere e missioni 
la mia speranza 
che gradualmente 
diventava parola 
con architravi forti 
di essenza 

ponevo fragili 
colonne di pensieri 
e così per mia gioia 
ripagavo te in una vita 
para bellum 
mordendo 
un odio largo 
quanto un lago 
del continente nero 


io intesi ingenuo 
che utilizzando la sinistra 
avrei cambiato il mondo 
ma tu - Signore - 
cambiasti me 
mi indicasti la rotta 
da funambolo su soglie 
di luce e segni 
e segnali che scegliesti 
tu od io? 
e venivi a me con le tue idee 
- le mie - 
a partorire immagini 
dal profondo 
ed ora tutto intorno 
il mondo tuo 
mi parla 
la lucertola sul caldo asfalto 
la bouganvilla sul muro 
bianco di calce 
emettono un senso 
di estremo linguaggio 
lo sniffare del cane 
emaciato africano 
sull’uscio della capanna 
l'anello di comprensione 
finora mancante 

oh mio Signore 
tu sei così grande 
grazie 

mi dicesti 
when you’re ready
you’ll find it 

cosí ho attraversato il mondo 
e spesso in questo mondo 
mi son perso -Signore 
cercando cercando 
ma il mondo eri tu 
e la mia casa 
e nell’economia 
dei sensi ritrovai 
la rotta del dolore 
che cessava 
non era compito mio 
cambiarmi 
mi feci solo da parte 
e lasciai che l’alfabeto 
s’incagliasse sul fondo 
mio di fango 


oh mio Signore 
tu sei così grande 
grazie 


a quei tempi vivevamo 
in Gloucester road 
col sole dritto in faccia 
tutto era ordine e lustro 
in UK ognuno curava 
il suo orticello 
ed io non potevo 
stare fisso 
alla forca delle 7 
non volli cedere 
alla sconfitta pendolare 
della cella del sudoku 
ero ricercatore urbano 
& africano 
non impiegato 
del verso capitale 

camminavo per le strade 
ma stavo 
già viaggiando 
osservavo le persone 
la domenica nei bar 
ben vestiti passeggiare 
e sapevo tutto ciò 
non mi apparteneva 
le case ben arredate 
ed ordinate degli amici 
in cui non potevo essere 
partecipe 
- se non a metà – 


più che produrre reddito 
piacere mio era 
produrre idee 
e solcare la traccia 
per nuovi cammini 
e cosí decisi: 
non attraversai più il viola 
del parco della vittoria 
monopoli del mondo 
nei sentieri cercavo 
una sintassi di parole 
nei luoghi fluidi 
mi compivo 
esistevo 
nella favela dell’anima 
nella dissenteria spirituale 
nei posti dove destrutturavi 
la mia marginazione 


oh mio Signore 
tu sei così grande 
grazie 

e mi indicavi come 
imparare ad essere niente 
ed intanto apprendevo 
a nutrire la mia calma 
e tu venivi a me 
a salvarmi dalla mens sana 
in corporate sano -Signore- 
quando anche dei libri e 
della poesia e delle caviglie 
di fango sporche 
era oramai 
l’estremo ennui 

la voglia irrefrenabile 
di sovvertire l’ordine 
a me che neanche 
la BBC radio di notte 
al buio della stanza 
mi acquietava 
io che salendo in auto 
salutavo tassisti 
prima di pagare 
la tariffa 
credevo nell’uomo 
ancora cosciente che 
detengono il potere 
a questo mondo 
i poster delle ragazze 
nude nelle officine 
ed il pianto dei bimbi 
nelle tue messe 

null’altro Signore 

ed era nulla die sine linea 

cosí sull’orlo 
di questo letto 
inizierò il mio verso 
il più delle volte 
ci si nutre di piccole cose 
che poi si sommano a fiumi 
parole affluenti 
ed arriva il tuo verso 
oh Signore 
ad estuario o a delta 
preciso o confuso 
in tempesta sull’acqua 
parola 
ciò non importa 

oh mio Signore 
tu sei così grande 
grazie 

non importa dove scorra 
l’alveo 
- se rompa gli argini 
la traccia - 
è solo prendere la 
faretra in mano e 
scagliare frecce al cielo 
che conta - Signore 

oh mio Signore 
tu sei così grande 
grazie 

tutto contiene l’uomo 
l’oro ed il fango 
l’unico dono è 
dopo tutto 
la forza degli schiavi 
di ascoltare 
la forza degli schiavi 
di rialzare la testa 
la forza degli schiavi 
di guardare in volto 
la bellezza e 
solo degli schiavi 
di aprire sempre le braccia 
…………………………. 
e sempre 
al prossimo 
che ti si para 
davanti 

oh mio Signore 
tu sei tan grande 
grazie 


perché tutto è 
come deve essere 
porterò ancora 
alta nel vento 
la bandiera bianca 
della nostra rivoluzione 



Ulisse
l’uomo senza dèi è nulla  
(Nettuno a Ulisse naufrago)

vento caldo tra i rami 
dell’uliveto sull’isola 
Itaca 
cipressi annuiscono al vento 
e ai pentagrammi 
dei cancelli cani 
ululano alla luna 
vento a pelo d’acqua 
che sale sui declivi e 
ti viene a cercare 
tra gli orti 
passeggiando 
tra gli orti 
tra muri a secco chiusi 
di pietra sull’isola 
vedo l’uomo 
svoltare l’angolo 
chi è? 

forse Nessuno? 
Il cammino mi chiamava 
................................. 

nulla mi ostacola se 
non una figura convessa 
che mi somiglia 

partii… 

fu il turbinio del vento 
mi resi conto 
mi dettero in dote 
Castalia la lingua 
si disciolse in tasselli 
di sale di sole di sabbia 
che costituiva la pelle 
la prua penna 
dello scafo incideva 
nell’onda del mare 
piccole linee 
onde di questo grande 
quaderno la vita 
il mare così incerto 
scrive il mio verso 
qual è il senso dell’onda ? 
forse le penelope palpebre 
chiudersi? 
mentre a pelo d’acqua 
emergono 
versi e parole che aggrumano 
presso lo scoglio la roccia 
dove son significato 
d’amore 


questo continuo 
controllare gli stralli 
le cime e armare 
le navi salpare partire 
all’arrembaggio 
sbarcare 
alla prossima spiaggia 
e continuare a nutrirsi 
di felicità e disperazione 
questo lasciarsi cadere 
questo non resistere 
questo essere sconfitti 
e rinascere incessante 
come il mare 
forte universale 
animale 
come il mare la marea 
- eterno fracasso dell’onda - 
sulla spiaggia 
sempre sempre sempre 


questo continuo ripetersi 
dell’onda sulla riva 
questo parlare orale 
dell’onda del mare 
del mare orale 
della bocca dell’onda 
questo linguaggio 
primordiale 
secco acuto minerale 
del mare orale 
e alla deriva questo 
poter ancora alzare 
gli occhi al cielo 
e gridare: 
cosa vuoi da me? 
non mi è rimasto nulla 
nulla 
solo la vita… la mia vita 
che cosa devo capire ? 
cosa ? 
voglio che tu capisca 
che l’uomo senza 
dèi è nulla 
nulla 


e poter ancora apprezzare 
fresche sul volto la fronte 
le note della pioggia cadere 
scrivere un pentagramma
di senso
ed il corpo totalmente
avvolto immerso
in un panno d’acqua
questa acqua tagliata
come lamina di metallo
che brucia la pelle
e questo dire ancora 

sì sì sì 

ed ancora si
mentre affondiamo
affoghiamo 

sì sì sì 

sono io sei tu
Signore 

piccolo piccolo piccolo
umano troppo umano 

(continua)


 Affinità
Vincenzo d'Alessio